Divisione spese straordinarie figli, come si effettua la divisione ?

Divisione delle spese straordinarie per i figli. Le spese straordinarie vanno divise tutte al 50% ?

In materia di mantenimento dei figli, la divisione delle spese straordinarie è questione spesso dibattuta tra i genitori.

Molti Tribunali italiani hanno provveduto a redigere dei protocolli nei quali indicano con chiarezza quali sono le spese da intendere come straordinarie e quali invece ordinarie, quindi quelle che necessitano di un preventivo accordo tra i genitori e quelle che invece sono dovute dall’altro genitore anche senza preventivo accordo.

In tema di divisione delle spese straordinarie, il principio di base è la loro divisione al 50% tra entrambi i genitori, concordando previamente quelle per cui occorre l’accordo.

E’ possibile dividere le spese straordinarie per i figli in proporzioni diverse tra i genitori ?

Il Giudice, nel decidere la proporzione delle spese straordinarie da sostenere tra i genitori, tiene in considerazione sia la capacità economica di entrambi che le diverse circostanze specifiche.

Si parte quindi dal principio base del 50% a carico di ciascun genitore, per poi valutare caso per caso e decidere eventualmente una diversa percentuale.




E’ possibile dividere in modo diverso una singola spesa straordinaria per i figli ? o devono per forza essere tutte divise secondo la stessa percentuale ?

E’ possibile stabilire percentuali diverse per le singole spese straordinare

Con il decreto 23/11/2017 il Tribunale di Genova ha stabilito che il padre paghi il 70% delle spese per la baby sitter e il 50% delle altre spese straordinarie, chiarendo di fatto che la singola spesa straordinaria può essere divisa in percentuale differente rispetto al resto delle spese straordinarie.

Bisogna sempre avere in considerazione che il Tribunale è tenuto a valutare ogni situazione caso per caso, adattando la decisione alla singola fattispecie.

Nel caso in questione entrambi i genitori lavorano, e per entrambi l’attività lavorativa influisce sulla possibilità di tenere con sè il figlio: la madre effettua i turni e quindi tiene con sè il figlio in base alla turnazione, mentre il padre svolge un lavoro che comporta degli spostamenti quotidiani durante la settimana, non consentendogli di tenere il bimbo per un periodo equivalente rispetto alla madre.

Il regime lavorativo del padre infatti consente a quest’ultimo di tenere il bambino solo al sabato pomeriggio (e due domeniche al mese), mentre la madre -effettuando i turni- ha più possibilità di tenere con sè il figlio.

La situazione richiede necessariamente il ricorso a una baby-sitter per i periodi in cui entrambi i genitori sono al lavoro.

Il Tribunale ha quindi valutato sia l’impegno lavorativo maggiore del padre (e quindi la conseguente maggiore assenza) che la sua maggiore capacità economica (circa € 2.300,00 al mese, contro i circa € 1.300,00 della madre) ritenendo equo porre la spesa straordinaria relativa alla baby-sitter per il 70% in capo al padre e per il 30% in capo alla madre.

Clicca qui per leggere il decreto.

La distanza del padre non è motivo per l’affido esclusivo dei figli alla madre

distanza del padre motivo per affido esclusivo figli alla madreSe il padre è distante i figli sono assegnati esclusivamente alla madre ?

Significativa decisione del Tribunale di Verona, il quale pronunciandosi su un caso in cui il padre dei minori vive e lavora in Cina, mentre la madre vive e lavora in Italia, ha espresso l’importante concetto che la distanza geografica non giustifica in sè l’affido esclusivo dei figli alla madre.

I genitori possono dialogare via mail, whatsapp, Skype ecc., per prendere le decisioni e garantire il diritto dei figli alla bigenitorialità

I moderni mezzi di comunicazione infatti (e il Tribunale, molto coerentemente con i tempi attuali, ha espressamente menzionato le mail, whatsapp, Wechat e videochiamate) consentono ai genitori di poter dialogare tra loro nonostante la distanza, scambiarsi documenti, e condividere le scelte per una corretta crescita dei figli, salvaguardando quindi il diritto dei figli alla bigenitorialità.




Infatti, durante il procedimento, il Tribunale ha potuto verificare che nonostante la significativa distanza, il padre ha dimostrato di avere effettivamente partecipato alle scelte da assumere nell’interesse dei figli.

La madre è stata comunque delegata sin dalla prima udienza a sottoscrivere anche per il padre le autorizzazioni necessarie per i figli (le quali andranno comunque concordate laddove necessario secondo il protocollo del Tribunale di Verona) evitando quindi il problema materiale della sottoscrizione per quelle autorizzazioni di tipo frequente (ad. es. l’autorizzazione all’attività sportive ecc.).

E’ possibile incontrare i figli via internet ?

Bisogna tenere conto delle spese di viaggio che il padre deve affrontare per vedere i figli ?

Altri concetti importantissimi espressi dal decreto sono la massima flessibilità che la madre dovrà avere nel favorire ogni possibilità di incontro tra il padre e i minori, favorendo quindi anche le comunicazioni via internet con i moderni mezzi di comunicazione sia il rilievo dato alle rilevanti spese che il padre dovrà affrontare ogni volta che si recherà in Italia dalla Cina, di cui il Tribunale ha giustamente tenuto conto.

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Ex coniuge autosufficiente come parametro per l’assegno di mantenimento nel divorzio

Assegno mantenimento ex coniuge autosufficiente: il tenore di vita avuto durante il matrimonio non è più il parametro per stabilire l’assegno di divorzio

Con la sentenza n° 11504 del 10 maggio 2017 (che puoi trovare qui) la Suprema Corte ha di fatto riassunto il cambiamento che si è formato nel diritto di famiglia, indicando “l’indipendenza o l’autosufficienza economica” come parametro per stabilire l’assegno di mantenimento, ritenendo il “tenore di vita” durante il matrimonio non più attuale (a distanza di quasi ventisette anni dalle sentenze delle Sezioni Unite nn. 11490 e 11492 del 29 novembre 1990) per molteplici ragioni.

Con il divorzio si estingue ogni rapporto tra i coniugi

Il divorzio pone fine anche ai rapporti economico-patrimoniali

Sul punto la sentenza 11504/17 è chiara: “con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue sul piano non solo personale ma anche economico-patrimoniale – a differenza di quanto accade con la separazione personale, che lascia in vigore, seppure in forma attenuata, gli obblighi coniugali di cui all’art. 143 cod. civ. -, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo -sia pure limitatamente alla dimensione economica del “tenore di vita matrimoniale” ivi condotto – in una indebita prospettiva, per così dire, di “ultrattività” del vincolo matrimoniale”.

Motivazione storico-sociale

La Suprema Corte spiega chiaramente anche il perchè di tale scelta da un punto di vista storico-sociale: “le menzionate sentenze delle Sezioni Unite del 1990 si fecero carico della necessità di contemperamento dell’esigenza di superare la concezione patrimonialistica del matrimonio «inteso come “sistemazione definitiva”, perché il divorzio è stato assorbito dal costume sociale» (così la sentenza n. 11490 del 1990) con l’esigenza di non turbare un costume sociale ancora caratterizzato dalla «attuale esistenza di modelli di matrimonio più tradizionali, anche perché sorti in epoca molto anteriore alla riforma», con ciò spiegando la preferenza accordata ad un indirizzo interpretativo che «meno traumaticamente rompe[sse] con la passata tradizione» (così ancora la sentenza n. 11490 del 1990). Questa esigenza, tuttavia, si è molto attenuata nel corso degli anni, essendo ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile (matrimonio che – oggi – è possibile “sciogliere”, previo accordo, con una semplice dichiarazione delle parti all’ufficiale dello stato civile…)”.

L’assegno divorzile ha funzione “assistenziale” e non di riequilibrio delle condizioni economiche

Diritto fondamentale alla possibilità di costituire una nuova famiglia dopo il divorzio

Anche qui la sentenza è chiara e diretta: “in proposito, un’interpretazione delle norme sull’assegno divorzile che producano l’effetto di procrastinare a tempo indeterminato il momento della recisione degli effetti economico-patrimoniali del vincolo coniugale, può tradursi in un ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia successivamente alla disgregazione del primo gruppo familiare, in violazione di un diritto fondamentale dell’individuo (cfr. Cass. n. 6289/2014) che è ricompreso tra quelli riconosciuti dalla Cedu (art. 12) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 9).

Si deve quindi ritenere che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale.

L’interesse tutelato con l’attribuzione dell’assegno divorzile -come detto – non è il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma il raggiungimento della indipendenza economica, in tal senso dovendo intendersi la funzione – esclusivamente – assistenziale dell’assegno divorzile”.

Il nuovo parametro di riferimento: l’indipendenza economica o la possibilità di essere economicamente indipendente

Le considerazioni critiche sul tenore di vita hanno portato la Suprema Corte alla necessità di individuare un altro parametro, individuandolo nell’indipendenza economica dell’ex coniuge richiedente l’assegno divorzile:

“Il Collegio ritiene che un parametro di riferimento siffatto – cui rapportare il giudizio sull’adeguatezza-inadeguatezza” dei «mezzi» dell’ex coniuge richiedente l’assegno di divorzio e sulla “possibilità-impossibilità «per ragioni oggettive»” dello stesso di procurarseli – vada individuato nel raggiungimento dell'” indipendenza economica” del richiedente: se è accertato che quest’ultimo è “economicamente indipendente” o è effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto”.

In buona sostanza, se la condizione dell’ex coniuge è tale da consentirne la possibilità di essere economicamente autosufficiente, non ha diritto all’assegno divorzile.

Comparazione tra il diritto del figlio maggiorenne all’assegno periodico e la posizione di ex-coniuge

Tra le argomentazioni della Corte di Cassazione in favore del parametro dell’indipendenza economica, anche il fatto che tale parametro condiziona negativamente il diritto del figlio maggiorenne all’assegno periodico dovuto dai genitori, nonostante le garanzie dello status di figlio, a maggior ragione può incidere negativamente sul diritto all’assegno di divorzio, posto che con il divorzio appunto si perde lo status di coniuge.

Il principio dell’autoresponsabilità

La sentenza della Suprema Corte ribadisce in più punti il principio dell’autoresponsabilità, da tempo radicato in molti paesi dell’Unione Europea:

“Tale principio di “autoresponsabilità” vale certamente anche per l’istituto del divorzio, in quanto il divorzio segue normalmente la separazione personale ed è frutto di scelte definitive che ineriscono alla dimensione della libertà della persona ed implicano per ciò stesso l’accettazione da parte di ciascuno degli ex coniugi – irrilevante, sul piano giuridico, se consapevole o no – delle relative conseguenze anche economiche”.

Gli indici dell’indipendenza economica

Non sfuggendo alla Corte la portata pratica della sentenza (facendo comunque presente che andranno valutati gli elementi eventualmenti rilevanti caso per caso) fa anche un elenco di quelli che sono da considerarsi gli indici per accertare la sussistenza dell’indipendenza economica, o l’adeguatezza dei mezzi, o la possibilità di procurarseli.

Gli indici per accertare l’indipendenza economica sono:

1) il possesso di redditi di qualsiasi specie; 

2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu “imposti” e del costo della vita nel luogo di residenza («dimora abituale»: art. 43, secondo comma, cod. civ.) della persona che richiede l’assegno; 

3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo; 

4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione.

Il regime della prova

Spetta al coniuge che chiede l’assegno di divorzio provare di “non avere mezzi adeguati” e di “non poterseli procurare per ragioni oggettive”

Naturalmente la sentenza si occupa anche dei risvolti legati alla procedura, specificando che spetta all’ex coniuge che chiede l’assegno di divorzio l’onere probatorio, dovendo “allegare, dedurre e dimostrare di “non avere mezzi adeguati” e di “non poterseli procurare per ragioni oggettive”.

L’oggetto della prova

La Suprema Corte ha pure specificato qual è l’oggetto dell’onere probatorio che grava sull’ex coniuge che fa valere il diritto all’assegno divorzile.

“Tale onere probatorio ha ad oggetto i predetti indici principali, costitutivi del parametro dell'”indipendenza economica”, e presuppone tempestive, rituali e pertinenti allegazioni e deduzioni da parte del medesimo coniuge, restando fermo, ovviamente, il diritto all’eccezione e alla prova contraria dell’altro”.

il possesso di redditi e di cespiti patrimoniali sarà, ovviamente, oggetto di prova documentale, mentre “le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale” potranno essere provate con ogni mezzo idoneo

An debeatur e quantum debeatur. Le due fasi.

La sentenza in oggetto quindi, rileva ai fini della prima fase, quella volta a accertare se all’ex coniuge sia dovuto l’assegno divorzile (an debeatur) e in questa fase rilevano appunto gli indici elencati sopra in esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica.

La fase della quantificazione dell’assegno (quantum debeatur) è eventuale e si attua solo in caso di esito positivo della prima fase (e quindi con il riconoscimento della mancanza di autosufficienza economica o di impossibilità oggettiva a raggiungere i mezzi adeguati).

In tale eventuale fase di determinazione dell’assegno il Giudice dovrà tenere conto delle “[….] condizioni dei coniugi, [….] ragioni della decisione, [….] contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, [….] reddito di entrambi [….]»), e “valutare” «tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio”.

Insomma, volge al termine il matrimonio inteso come “sistemazione definitiva”, indicato dalla Corte di Cassazione invece come atto di libertà e autoresponsabilità.

Separazione in Comune con assegno mensile di mantenimento

E’ possibile separarsi o divorziare davanti al Sindaco o all’Ufficiale di Stato civile del Comune se i coniugi hanno stabilito un assegno di mantenimento ?

Il Consiglio di Stato rivede l’interpretazione della norma: è possibile separarsi in Comune anche se i coniugi hanno stabilito un assegno di mantenimento.

Separazione in Comune con assegno mensile di mantenimento. La Legge che ha introdotto la possibilità di separarsi o divorziare davanti al Sindaco o all’Ufficiale Giudiziario ha dato origine a una questione che ha dato vita a una questione dibattuta.

Posto che la Legge specifica che non è possibile separarsi in Comune in presenza di “patti di trasferimento patrimoniale” (espressione piuttosto ampia e interpretabile) la dottrina e la giurisprudenza si sono interrogati su cosa rientrasse in tale concetto.

Da un lato, sicuramente, vi rientra ad esempio il trasferimento di un immobile (o di una sua quota), dall’altro era dubbio se vi rientrasse anche l’assegno mensile di mantenimento.

La storia dell’interpretazione.

Inizialmente il Ministero dell’Interno ha ritenuto che nel concetto di “patti di trasferimento patrimoniale” non fosse compreso l’eventuale assegno mensile di mantenimento, quindi i coniugi che prevedevano tale assegno potevano separarsi (o divorziare) in Comune.

Poi, con sentenza n° 7813 del 7/7/2016, il TAR del Lazio si è espresso in maniera opposta, specificando che la previsione dell’assegno mensile di mantenimento costituisce “trasferimento patrimoniale” tra i coniugi e, quindi, agli stessi, sarebbe vietato rivolgersi al Comune per separarsi o divorziare.

Infine con la sentenza n° 4478 del 26/10/2016 il Consiglio di Stato ha annullato la sentenza n° 7813/2016 del TAR, sposando quindi l’orientamento iniziale dell’interpretazione Ministeriale.




I coniugi che prevedono un assegno di mantenimento possono separarsi o divorziare in Comune ?

La situazione attuale.

In seguito alla sentenza del Consiglio di Stato n° 4478 del 26/10/2016 i coniugi che vogliono separarsi o divorziare possono rivolgersi al Comune anche se hanno stabilito il pagamento di un assegno mensile di mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole.

Discorso a parte va fatto nel caso in cui i coniugi stabiliscano il pagamento di un assegno una tantum, in questo caso il Consiglio di Stato ha condiviso l’orientamento del Ministero per il quale tale assegno rientri nel concetto di “trasferimento patrimoniale”, con la conseguenza, quindi, del divieto di rivolgersi al Comune per la separazione e il divorzio nel caso in cui sia previsto tale pagamento.

In tale caso è comunque consigliabile sentire il parere di un Avvocato, posto che la previsione di un assegno una tantum presuppone la rinuncia all’assegno mensile di mantenimento.

Ogni situazione personale va analizzata attentamente, caso per caso, è il parere di un professionista è sempre consigliabile al fine di prendere le decisioni migliori.

 




Deposito cartaceo del reclamo. E’ ammesso ?

deposito cartaceo del reclamo

Processo civile telematico. Cosa succede nel caso in cui il reclamo sia depositato in via analogica (cartacea).

Il reclamo contro il provvedimento emesso in un procedimento cautelare per sequestro conservativo in corso di causa deve essere depositato in via telematica ?

Con ordinanza Collegiale il Tribunale di Genova ha sostenuto che il reclamo, pur non corrispondente ai dettami dell’art. 16 bis D.L. 179/12, sia comunque ammissibile anche se depositato in forma cartacea perchè la norma che prescrive il deposito telematico non prevede una espressa sanzione di inammissibilità e perchè il reclamo è procedimento autonomo.

Affrontiamo la nuova e controversa questione della forma del deposito del reclamo, esiste infatti una doppia corrente giurisprudenziale.

Alcuni Tribunali si sono espressi per l’inammissibilità del reclamo depositato in via analogica (cartacea), perchè ritengono il reclamo non atto introduttivo di un nuovo grado di giudizio ma semplicemente una prosecuzione della prima fase cautelare che ha portato all’emissione dell’ordinanza relativa al sequestro, essendo il pagamento del contributo unificato una questione meramente tributaria e quindi non influente sulla struttura del procedimento (che rimane unitario) così come l’assegnazione di un numero di ruolo del reclamo (che è mera questione organizzativa interna al Tribunale).

Il reclamo sarebbe quindi un atto “endoprocessuale” tra parti già costituite e, quindi, dovrebbe essere depositato in via esclusivamente telematica.

In questo senso le ordinanze Tribunale dell’Aquila del 22 giugno 2016, Tribunale di Vasto del 15 aprile 2016, ordinanze 12/2/2015 del Tribunale di Torino e 15 maggio 2015 del Tribunale di Foggia.

Il reclamo costituisce nuovo e autonomo procedimento. E’ ammesso il deposito cartaceo del reclamo.

Con ordinanza Collegiale del 20 settembre 2016 il Tribunale di Genova si è espresso in merito all’eccezione preliminare di inammissibilità del reclamo depositato in via analogia (cartacea), aderendo invece alla corrente che ritiene il reclamo un procedimento autonomo, e quindi “nuovo” nel quale le parti si devono ancora costituire.

E’ quindi ammesso il deposito cartaceo del reclamo.

L’art. 16 bis D.L. 179/12 non contiene una espressa sanzione di inammissibilità degli atti depositati in forma cartacea

Inoltre la citata ordinanza del Tribunale di Genova rileva anche che non esiste una espressa sanzione di inammissibilità del reclamo se depositato in forma cartacea in luogo del deposito telematico.

Qui di seguito il testo integrale dei motivi della decisione nell’Ordinanza Collegiale del Tribunale di Genova, in data 20 settembre 2016, in punto deposito cartaceo del reclamo contro ordinanza emessa in un procedimento per sequestro conservativo in corso di causa.

“Ritiene il Collegio che il gravame, pur non corrispondente ai dettami dell’art. 16 bis.2 D.l., non sia per questo inammissibile per una duplice ragione. In primo luogo, la disposizione citata prescrive il deposito telematico ma non contiene un’espressa sanzione di inammissibilità del ricorso introduttivo, mentre sanzioni processuali di tali gravità non possono che essere testuali.

Secondariamente, il reclamo costituisce un procedimento autonomo che ha una sua distinta dimensione amministrativa e comporta nuova iscrizione a ruolo, nuovo versamento del contributo unificato e nuove formalità di costituzione delle parti. Si tratta quindi di un procedimento “nuovo”, nel quale le parti non sono ancora costituite: onde è ammissibile il deposito dell’atto introduttivo e costituzione in cartaceo”.

Quale tipo di deposito scegliere per il reclamo ?

Visti i contrapposti orientamenti dei Tribunali, in via prudenziale, è consigliabile il deposito del reclamo in via telematica.




Separazione con negoziazione assistita, caso di “no” del PM

Cosa accade in una separazione con negoziazione assistita in caso di “no” del PM ?

E’ stato affrontato dal Tribunale di Torino il tema della mancata autorizzazione da parte del PM all’accordo di separazione raggiunto con negoziazione assistita. La sentenza pone particolare rilievo al profilo della procedura, mettendo in evidenza che il rinvio al Presidente del Tribunale non implica in sè l’instaurazione di un procedimento giudiziale di separazione (che verrebbe infatti introdotto irritualmente da un atto de-giurisdizionalizzato) per il quale prevede comunque la presentazione di un ricorso, con archiviazione del procedimento di separazione con negoziazione assistita (per rinuncia allo stesso).

Nel caso in cui le parti non ritengano necessario depositare un ricorso integrativo per l’introduzione di un normale procedimento giudiziale di separazione, quindi, potranno aderire ai rilievi del PM davanti al Presidente, o formulare istanza di integrazione dell’accordo raggiunto con negoziazione assistita, integrando i punti dell’accordo stesso secondo i rilievi del PM. Sarà il Presidente stesso a autorizzare l’accordo, facendo quindi salvo l’atto de-giurisdizionalizzato.

L’interessante Sentenza del Tribunale di Torino, approfondisce in via operativa, il tema del “mancato placet” del PM, rispetto al contenuto di un Accordo, raggiunto a seguito di Negoziazione Assistita, in materia di famiglia che, giusta la legge 162/14, abbia seguito la via della de-giurisdizionalizzazione.

In prima battuta, riprendendo il forte richiamo alla competenza ed alla responsabilità professionale come dote più che mai necessaria, in capo agli Avvocati che si apprestano a seguire con la loro opera i coniugi, guidandoli nel percorso di negoziazione assistita, che si trae dalla Relazione di accompagno alla Legge nr. 162/14, non possiamo non sottolineare come, in questo specifico caso, dalla lettura della sentenza si evinca la esistenza di una grossolana mancanza che, seguendo il racconto della Dottoressa Michela Tamagnone (Presidente della sezione che si occupa della famiglia presso il Tribunale Torinese) che di fatto ha costretto il PM a non prestare la propria “autorizzazione”.

Nel caso de quo ci troviamo, come ci segnala il richiamo ad una Autorizzazione, in presenza di un Accordo raggiunto a seguito di una Negoziazione Assistita, che doveva specificamente regolare anche gli obblighi genitoriali in favore dei figli bisognosi di tutela, come previsto, ad abundantiam, anche dalla norma che ha introdotto la via della De-giurisdizionalizzazione !
Non v’è chi non veda, quindi, come l’Ufficio del PM abbia in concreto rilevato, rifiutando l’autorizzazione, una grave “omissione del contenuto” dello stesso accordo: le parti, pur assistite dai rispettivi due legali, si sono “dimenticate” di regolare la misura e le modalità del contributo al mantenimento sulle stesse gravante, ex lege, rispetto al comune figlio maggiorenne, ma ancora non autosufficiente sotto l’aspetto economico.

È per altro evidente come, ove il medesimo accordo, avesse preso la via giurisdizionale venendo presentato come Ricorso per la Separazione Consensuale con richiesta della relativa Omologa, il Presidente del Tribunale di Torino si sarebbe, ovviamente, dovuto opporre, nel corso della udienza presidenziale, rilevando la mancanza di ogni previsione, per il soddisfacimento dell’onere, esistente in capo ad entrambi i genitori, di “contribuire al mantenimento del comune figlio”.

V’è da dire che, nello svolgersi dell’udienza presidenziale, l’ipotizzata omissione si sarebbe potuta correggere, come spesso accade quando rispetto al contenuto del Ricorso consensuale l’opera del presidente, interviene, con il beneplacito delle parti presenti, a specificare meglio alcuni aspetti dell’accordo, da sottoporre alla successiva omologa.

Al contrario l’iter dell’Accordo raggiunto nell’ambito della de-giurisdizionalizzazione non consente alcun “correttivo”, potendo il passaggio presso l’ufficio del PM consentire solo due esiti: il rilascio o il non rilascio del placet.

La mancata previsione di un “elemento essenziale” nell’Accordo separativo ed il conseguente mancato rilascio dell’autorizzazione del PM ha, in ogni caso, il pregio di aver generato uno dei primi “pronunciamenti” in merito al percorso che si dovrà seguire nel caso di un Accordo separativo che “non abbia” l’autorizzazione del PM.

I principi ermeneutici affermati dal Tribunale di Torino, intervengono infatti ad illustrare sia la natura della “Autorizzazione”, sia il successivo “iter procedimentale” che può immaginarsi come necessario in forza del dettato normativo.

In merito al primo aspetto, l’Autorizzazione di un Accordo separativo, scaturito da una negoziazione assistita, è un vero e proprio nuovo istituto, “una fattispecie di nuova creazione, integralmente alternativa al procedimento giurisdizionale” dice espressamente la sentenza.
Tale precisazione non è di poco conto, perché con il deposito dell’accordo i due coniugi per il tramite dei rispettivi avvocati, non hanno inteso formulare alcuna domanda alla Giurisdizione, ma anzi, si sono limitate a chiedere all’Ufficio Affari Civili del Pubblico Ministero, la sola “evasione” della procedura di rilascio, concorrendone i requisiti di legge, del nulla osta o dell’autorizzazione.
Pertanto, nel caso in cui il PM rilevi la mancanza di un “requisito minimo dell’accordo” che, ex lege, debba ritenersi essenziale, lo stesso ha l’obbligo di “non rilasciare” la richiesta autorizzazione e di rimettere gli atti al Presidente del Tribunale per i successivi adempimenti.

Non di meno il “deposito” dell’atto, presso l’ufficio Affari Civili del PM per l’attività dell’Ufficio, mai potrà conferire a quella documentazione, la valenza di una “domanda” introduttiva di una “istanza alla giurisdizione”.

La sentenza di Torino, nell’evidente necessità di dover dare un “senso concreto” alla previsione normativa (art. 6, II co.) per la quale dopo aver ricevuto l’accordo bocciato il Presidente “… fissa entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo” ha dovuto affrontare la genericità della disposizione rilevando, correttamente, come questa sollevasse “non pochi dubbi interpretativi” e questo sia in relazione all’organo avanti al quale detta udienza deve tenersi, sia in relazione al contenuto del “provvede senza ritardo” previsto per la successiva attività giurisdizionale.

Quanto all’organo si è osservato, con molta attenzione, come a seconda del contenuto dell’accordo, sia diverso l’organo giurisdizionale cui la domanda deve essere posta seguendo l’iter del codice di rito: questo perché gli Accordi separativi che si raggiungono a seguito di una negoziazione assistita, quando abbiano a regolare una consensuale hanno il loro omologo giurisdizionale in un Ricorso per la separazione consensuale che viene trattato in comparizione dal Presidente del Tribunale: diversamente dagli Accordi per la modifica delle condizioni o di quelli che vogliano regolare la cessazione degli effetti civili del matrimonio, domande giudiziali per le quali: “la comparizione è fissata dal Tribunale in composizione collegiale”.

Per altro, come nota felicemente l’estensore della Sentenza in commento, non è affatto possibile ritenere come “a seguito della mancata autorizzazione del PM” l’Accordo si possa trasformare, sic et simpliciter, in una “domanda giurisdizionale” cui idealmente potrebbe far seguito il tipo del provvedimento, previsto dal codice di rito (omologa, sentenza di cessazione o decreto ex art. 710 – nel caso delle modifiche) per evadere una domanda di giustizia per le fattispecie regolate dall’art. 6 della legge nr. 162/14, e comunque non può sottacersi come per ottenere una delle pronunce giurisdizionali prima citate debba intervenire una “richiesta di parte” nel rispetto di tutte le norme sul principio della formalizzazione di un istanza alla Giurisdizione.
Diversamente ci si troverebbe al cospetto di un “mostro” giuridico per il quale l’accordo de-giurisdizionalizzato, in mancanza del placet del PM, darebbe ingresso, ex se, ad una procedura giurisdizionale, che si concludesse poi, pur in assenza di domanda, con uno dei provvedimenti previsti dall’ordinamento: Omologa, sentenza o decreto di modifica.

L’interpretazione corretta del dettato normativo può dunque essere quella che, in forza del riconoscimento all’Accordo (raggiunto a seguito di negoziazione assistita) della dignità di una nuova fattispecie, assolutamente innovativa rispetto al panorama esistente, l’iter da seguire sia così prospettabile: trasmesso l’accordo non munito del placet al Presidente questi fissi udienza, consentendo peraltro alle parti – così da permettere alle stesse di non aderire supinamente ai rilievi dell’Ufficio del PM e quindi di poter introdurre delle modifiche sostanziali all’Accordo depositato – di formalizzare una specifica istanza in tal senso, che quindi andrà discussa all’udienza fissata.

Osserva il Tribunale di Torino come, ove le parti non abbiano depositato alcun ricorso “integrativo” dell’Accordo e le stesse “comparendo davanti al Presidente dichiarino di aderire pienamente ai rilievi effettuati dal PM, l’accordo potrà essere autorizzato dal Presidente (di conseguenza restando nell’alveo della de-giurisdizionalizzazione di cui alla L.162/14)”.

Al contrario, ove le parti abbiano integrato, giusto lo specifico provvedimento di fissazione dell’udienza per la comparizione delle parti, l’originario Accordo – non autorizzato- con una domanda giudiziale, nel rispetto dei canoni procedurali, ben si potrà considerare il primitivo accordo “rinunciato” con l’archiviazione del relativo fascicolo e la contestuale discussione, nella medesima udienza, del “nuovo” procedimento, iscritto al ruolo giusta la domanda “giurisidizionale” correttamente formulata, così potendo provvedere “senza indugio” nel merito, con il successivo passaggio della relativa pronuncia, avanti al PM per gli adempimenti normativi previsti dalla via ordinaria.

Sorgente: NEGOZIAZIONE ASSISTITA, no del PM all’accordo di separazione: la prima pronuncia è del Tribunale di Torino




Divorzio breve, alcuni chiarimenti

Riportiamo  qui un recente articolo del Secolo XIX relativo al divorzio breve nella provincia di Savona, al quale riteniamo doveroso portare alcune annotazioni, al fine di una corretta informazione.

L’articolo riporta alcune inesattezze, contrariamente a quanto riportato dal giornalista, infatti, si può ricorrere alla separazione/divorzio con negoziazione assistita (quindi senza andare in Tribunale ma solo dall’avvocato) anche nel caso di separazione dei beni e in presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti.

Nel caso di seprazione/divorzio con negoziazione assistita, gli avvocati devono essere almeno due, la norma infatti (D.L. 132/2014, art. 6) parla di “almeno un avvocato per parte”.

Qui di seguito il testo dell’articolo.

Savona – «Il matrimonio è la causa principale del divorzio», sosteneva il comico Groucho Marx. Di sicuro, dall’introduzione della nuova legge approvata dal Parlamento, divorziare è più semplice.E anche a Savona città il cosiddetto “divorzio breve” sta iniziando a prendere piede: all’ombra della Torretta, dall’introduzione delle nuove norme alla fine di luglio, i divorzi brevi recepiti dall’ufficiale di stato civile in Comune sono stati 31, a cui devono essere aggiunte anche 11 separazioni, per un totale di 42 accordi, a cui vanno aggiunte due convenzioni di negoziazioni assistite, entrambe relative a divorzi, che sono state trascritte dall’ufficiale do stato civile del Comune di Savona.La nuova tipologia introdotta nel sistema civilistico consente di separarsi o divorziare senza mai mettere piede in tribunale ma andando in Comune o dinanzi a un singolo avvocato. Non sono più necessari quindi tre anni per dirsi addio, come previsto dalla riforma della legge Fortuna-Baslini, ma solo 6 mesi, se la separazione è consensuale, o al massimo un anno se si decide di ricorrere al giudice.Una strada “privilegiata” per chiudere un matrimonio che può essere intrapresa però – se si vuole evitare il giudice – solo in caso di separazione dei beni e soprattutto in assenza di figli. A sciorinare numeri e prospettive della novità in materia e sulla sua diffusione in città è stata Lorena Canaparo, presidente della sezione civile del Tribunale di Savona, nel corso di un convegno sul presente e il futuro della giustizia, organizzato dall’avvocato Paolo Persico.Secondo Canaparo il divorzio breve si sta diffondendo anche a Savona ma con un ritmo ancora troppo lento rispetto alla potenzialità di uno strumento che dovrebbe permettere – fatte salve le discussioni sociologiche o etiche sulla positività o meno dell’aumento dei divorzi – di snellire le procedure ed abbattere le attese nei tribunali.«I dati che possediamo, aggiornati a fine luglio, ci dicono che ci sono stati 42 accordi per sciogliere matrimoni: personalmente non credo siano molti, mi aspettavo ci fossero dati ancora maggiori – spiega la presidente della sezione civile del Tribunale di Savona – Ho chiesto agli avvocati savonesi di capire come mai i numeri siano questi e la risposta che mi è arrivata individua nella questione culturale la motivazione: in tanti ancora non hanno conoscenza di questa possibilità. Ma anche gli avvocati devono cambiare mentalità, considerate le altre opportunità che sono messe a disposizione dal legislatore».Il giudizio di Canaparo sullo strumento del divorzio breve è comunque positivo, anche se non mancano le eccezioni. Come a dire: va bene snellire le procedure e i tempi di attesa, dinanzi a casi consensuali, ma con prudenza, visto che ci possono essere casi che hanno bisogno ancora di un giudice terzo per avere un giudizio. «Qui a Savona siamo attestati su una certa linea giurisdizionale e gli avvocati sanno le soluzioni che si possono adottare e in quali casi: quando ci sono fattispecie che presentano difficoltà, bisogna restare in Tribunale».

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Quando è obbligatoria la mediazione e quando la negoziazione assistita

Il D.L. 132/2014 ha introdotto l’istituto della negoziazione assistita, affiancandolo a quello della mediazione.

Proponiano qui uno schema riassuntivo per chiarire quando è obbligatoria la mediazione e quando la negoziazione assistita, come condizione di procedibilità.

MEDIAZIONE OBBLIGATORIA NEGOZIAZIONE ASSISTITA OBBLIGATORIA
=> condominio => risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti
=> diritti reali => domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti € 50.000,00 e non riservate alla mediazione obbligatoria
=> divisione
=> successioni ereditarie
=> patti di famiglia
=> locazione
=> comodato
=> affitto di azienda
=> risarcimento del danno da responsabilità medica e sanitaria
=> risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità
=> contratti assicurativi, bancari, finanziari




Separazioni e divorzi davanti all’avvocato – Comune di Genova

Un utile estratto dal sito del Comune di Genova sul divorzio breve con negoziazione assistita, occorre ricordare che  i termini per divorziare sono stati ridotti a 6 mesi (se la separazione è stata consensuale) e 1 anno (se la separazione è stata giudiziale):

Separazioni e divorzi davanti all’avvocato

L’11 novembre è entrata in vigore la Legge n. 162/2014 che prevede all’art. 6 la convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati per le soluzioni consensuali di separazione personale, di divorzio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

Chi è interessato ad adottare tale nuova procedura deve rivolgersi esclusivamente ad un avvocato per la verifica dei presupposti di legge e per tutti gli adempimenti normativi previsti.

La procedura è possibile sia in assenza che in presenza di figli minori, di figli maggiorenni portatori di handicap grave e di figli maggiorenni non autosufficienti: nel primo caso l’accordo concluso è valutato esclusivamente dal Procuratore delle Repubblica, che rilascia  nullaosta; nel secondo caso (figli minori o non autosufficienti), qualora il PM riscontrasse violazioni nell’ interesse dei  figli, è necessaria anche la pronuncia del Tribunale. L’ accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita da avvocati è equiparato ai provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di  modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

L’avvocato, una volta formalizzato l’accordo delle parti, dovrà trasmetterlo tassativamente entro 10 giorni al comune di:

• Iscrizione dell’atto di matrimonio

• Trascrizione dell’atto di matrimonio celebrato con  rito concordatario/culti ammessi o celebrato all’estero.

La documentazione, oltre che consegnata a mano all’ ufficio,  può essere inoltrata via pec al seguente indirizzo: comunegenova@postemailcertificata.it

Sorgente: Comune di Genova




È corsa al divorzio breve. I primi effetti nei Comuni.

Riportiamo un articolo pubblicato oggi sul Secolo XIX relativo al Comune di La Spezia, cominciano a vedersi i primi effetti del divorzio breve.

Il Comune di Genova, peraltro ben organizzato, fissa gli appuntamenti già a dopo l’estate.

Volendo abbreviare i tempi, è possibile rivolgersi all’Avvocato per ottenere il divorzio (o la separazione) attraverso la negoziazione assistita, cioè senza la necessità del procedimento in Tribunale, perchè la negoziazione assistita si svolge presso lo studio dell’Avvocato.

“La Spezia – Più di cento coppie spezzine hanno già incardinato, e in molti casi concluso, la propria pratica di separazione o di divorzio, presso il Comune della Spezia: dal dicembre scorso, quando è entrata in vigore la legge 162, che consente di sciogliere gli effetti civili del matrimonio direttamente all’anagrafe. Una quindicina, le coppie che hanno fatto la stessa scelta a Sarzana. Molto meno numerose, nel resto della provincia: dove molti Comuni non hanno ancora trattato alcun caso di fine rapporto coniugale.Possono far tutto in Comune, i coniugi che si separino consensualmente, e non abbiano figli minori o maggiorenni incapaci, o con grave handicap, o economicamente non autosufficienti. L’accordo non può inoltre contenere patti di trasferimento di patrimonio. Si pagano solo 16 euro, a titolo di diritto fisso, e si può scegliere se farsi assistere da un legale, oppure no. Insomma: per chi ha deciso, è molto più semplice, e meno costoso.”

Sorgente: È corsa al divorzio lampo: il Comune di Spezia oberato di lavoro | Liguria | La Spezia | Il Secolo XIX